questa storia è scritta da: Massimina Iacovino
Sento freddo stanotte, eppure siamo a luglio. Eccomi ancora una volta su una spiaggia che guarda all’Italia, ma questa volta ho voglia di andare. Il peso dei soldi nella tasca mi ricorda cosa sono venuto a fare qui con questi sconosciuti. Ho paura, ho sentito tante storie su questi viaggi, su chi non è arrivato dall’altra parte, senza neppure un corpo per la famiglia da piangere.
Ho salutato mia madre, l’ho stretta a me, sapendo che non l’avrei vista per un bel po’ di tempo. Stanotte non siamo tanti, ci sistemiamo alla meglio sul gommone, un’unica raccomandazione “tenetevi forte” e si parte.
La barca schiaffeggia il mare, continui sobbalzi ci fanno volare, perdiamo un uomo ma questi neanche si girano a vedere cosa è accaduto. Mi stringo ancora di più alla corda tanto da segarmi le mani, pensavo che questo viaggio sarebbe stato più comodo, chiudo gli occhi e torno indietro a due anni fa.
Eccomi al mare, con il costume, le ciabatte ai piedi, con i miei amici di sempre, ho 16 anni e tanta voglia di divertirmi. Ad un tratto sentiamo una voce “hanno preso la nave di zucchero proveniente da Cuba e voglio andare in Italia”. Non ci avevo mai pensato, i miei genitori guardano, per le ore concesse, la TV italiana, mio padre ha imparato così anche un po’ la lingua. Io però non ho mai desiderato lasciare la mia casa, la mia famiglia, seppure vivere in Albania non è semplice. Ma poi ad un tratto penso: “Vai, almeno vedi com’è”, proprio lì su quelle coste al di là del mare, nei giorni in cui il cielo è limpido, il profilo si vede bene all’orizzonte anche da casa mia.
Così mi sono incamminato con i miei amici verso la nave, nel trambusto perdo le ciabatte, ma non posso fermarmi, sono costretto a proseguire scalzo. Ogni tanto mi guardo intorno, non riesco a scorgere nulla se non donne, uomini e bambini che si muovo insieme, sembriamo un campo di grano percorso dal vento. Ad un certo punto penso di tornare indietro, ma non posso girarmi, siamo uno attaccato all’altro. Se mi fermo mi travolgono e sì che il mio viaggio finisce ancora prima di partire.
Sulla nave mi sistemo in alto, sono riuscito ad aggiudicarmi un buon posto. Guardando verso il basso non riesco a distinguere le persone, un ammasso di corpi uno sull’altro. Il tempo non passa mai, condividiamo lo spazio, il respiro e forse anche i pensieri, che portano sicuramente indietro a casa nostra. È terribile la sensazione di sete. Con me non ho nulla, il mio viaggio è improvvisato, stamattina uscendo di casa avevo detto ai miei che sarei andato al mare e ora….
Poi vedo che vicino a dove sono seduto c’è l’infermeria, prendo alcune fiale di acqua fisiologica e mi bagno le labbra, riesco a placare un po’ l’arsura.
Una delle boccette però si rompe e il vetro mi finisce sotto il piede, sono riuscito a toglierlo, ma brucia e non ho nulla per disinfettarmi.
Le voci, le urla a volte le sento ancora. Poi quei bisbigli che raccontano di violenze sulle donne, di pestaggi, quasi come se su questa nave non ci fosse più nessuna regola sociale, nessun rispetto per le persone. Ad un tratto le voci si fanno più concitate, nella stiva hanno iniziato a mangiare lo zucchero e si stanno sentendo male. Questo viaggio sembra non finire mai, non vedo l’ora di scendere, di allontanarmi da tutta questa disperazione. In fondo stamattina io volevo solo divertirmi con i miei amici.
È buio armai, non si vede nulla. Solo il nero del cielo e il nero del mare, ho paura ancora di più non riesco a capire dove stiamo andando e mi sento solo seppure circondato da migliaia di persone.
Provo a chiudere gli occhi chissà mi addormento un po’, ma ogni tanto un grido mi sveglia di colpo e inizio a tremare.
Poi il cielo si inizia a colorare, la distesa di corpi attorno a me è immobile sembra una immagine surreale, non avrei mai potuto immaginare una situazione così. Poco alla volta vedo gambe e braccia che si muovono, la nave prende vita e l’alba ci fa sospirare tutti.
Ad un certo punto è silenzio. Difronte a noi si inizia a vedere la costa. Passa ancora molto tempo, o come accadde sempre quando vai da qualche parte, sembra di non arrivare mai a destinazione. Ci allontaniamo nuovamente dalla costa, ora navighiamo seguendone il profilo.
Inizia a fare caldo, l’odore dei corpi è fortissimo, l’aria è diventata irrespirabile.
Ma sembra non importare a nessuno, tutti abbiamo lo sguardo fisso su quella linea che si avvicina sempre di più.
Ad un tratto sentiamo delle sirene, alcune piccole imbarcazioni ci affiancano e sembra ci stiano scortando nel porto.
Ed eccoci su un altro molo, ancora una volta un fiume invade la banchina, io sono ancora sulla nave e vedo di persone accalcarsi, alcuni gridano “Italia, Italia” sembrano felici.
Alcuni si tuffano direttamente senza aspettare di usare la passerella, per raggiungere la terraferma.
La gente del posto ci guarda sbigottita, anche per loro deve essere uno spettacolo straordinario, un mercantile con 20000 persone ammassate sopra.
Guardandoli negli occhi immagino si stiano chiedendo cosa siamo venuti a fare, dove ci metteranno ora, come si devono comportare, queste sono le stesse mie domande. Mi sento smarrito, ho fame, ho sete, ho paura, ho voglia di tornare indietro.
Arriviamo dopo tanto tempo in uno stadio vuoto, ci fanno sistemare in grandi stanze e chiudono i cancelli. Non era così che avevo immaginato di essere accolto.
Un grido mi riporta al presente, su questa piccola imbarcazione, ormai sono completamente bagnato ma la voglia di arrivare diventa sempre più grande dentro di me. Scruto l’orizzonte ma non vedo nulla. Guardo i miei compagni di viaggio e nei loro sguardi vedo paura e speranza.
Durante il primo viaggio non sapevo cosa stavo facendo, dove sarei arrivato, ora so che devo sfuggire ai controlli per non finire di nuovo bloccato nel porto. Ho ancora i brividi al pensiero di ciò che è accaduto. Poi di colpo ecco le prime luci, spengono i motori, ora ci muoviamo pianissimo fino a toccare la riva. Un urto violento contro gli scogli ci fa sobbalzare in avanti. Appena metto piede a terra, mi immobilizzo, non c’è nessuno ad accoglierci, ho un attimo di esitazione, mi giro verso il mare ma la barca è già scomparsa e allora inizio a correre, verso il mio futuro.
(Storia ispirata dal racconto di uno di quei ragazzi che ha iniziato il suo viaggio il 7 agosto 1991 con la nave mercantile Vlora , oggi cittadino di Rutigliano)