questa storia è scritta da: Rikardo Isteri, Gabriele Damiani, Vincenzo Cecere, Greta Franco, e Vito Karol Dipinto
Francesco era un bambino povero che viveva in un piccolo paesino dell’Emilia Romagna con suo padre e sua madre. In quel luogo tutti gli abitanti aravano la terra per coltivare il grano e soltanto pochi di loro sapevano leggere e scrivere.
Francesco era un bambino molto curioso e alle sue innumerevoli domande sulla nascita della terra e su cosa ci fosse oltre quel paesino, nessuno era in grado di dargli delle risposte.
Abitava in una casa molto umile, ma dai suoi genitori aveva ricevuto una educazione basata sull’onestà, sul coraggio e sapeva che per lui le cose prima o poi sarebbero cambiate.
Un giorno pioveva incessantemente e suo padre, stanco e dopo aver lavorato nei campi, andò a fare la spesa con i pochi quattrini che aveva guadagnato, ma, a causa del cambiamento climatico che fece scendere dal cielo enormi quantità di acqua, il fiume straripò e inondò a cascata l’intera cittadina e fu allora che il padre venne travolto da un’ondata di fango e detriti e purtroppo morì.
Francesco si accorse del terrificante accaduto perché in quel momento si trovava sul balcone della sua abitazione e con il cuore spezzato come i cocci di un vaso corse dalla mamma piangendo e le raccontò tutto. I due si abbracciarono e rimasero così vicini e stretti l’una vicino all’altro per tre giorni e tre notti. Al quarto giorno la madre disse a Francesco che era malata e in quella situazione non avrebbero vissuto a lungo e gli implorò di andare via da quel paesino e di cercare fortuna altrove. Il piccolo riuscì a convincersi e, afflitto, iniziò il suo viaggio senza meta.
Fu così che dopo tanto cammino giunse a Logogna, cercando ospitalità in un hotel, ma visto che non aveva abbastanza soldi, quella notte rimase a digiuno e dormì per strada.
Tutta la notte pensò ai bei momenti vissuti con la sua famiglia e alla forza che dalla stessa aveva ricevuto, così la mattina seguente, armato di tanta speranza e coraggio, decise di ripartire verso altra destinazione.
Lungo il cammino incontrò un bambino nella sua stessa situazione e decisero di proseguire insieme e di farsi compagnia.
Arrivarono in un paesino di nome Norito dove era obbligatorio indossare i vestiti rosa. Essendo i due vestiti con maglietta e pantaloni di altro colore, si recarono presso il municipio, dove chiesero al sindaco il perché di questa usanza e di poter comunque rimanere per qualche giorno, giusto il tempo di riposare per poi intraprendere il cammino.
L’autorità del paese rispose che grazie a quel colore tutti gli abitanti si sentivano uguali e questo garantiva alla comunità tanta serenità.
Il bambino cercò di spiegare, anche attraverso degli incontri pubblici, l’importanza di essere diversi e di sentirsi uguali soltanto nel rispetto dei diritti. Non era uno stesso colore a garantire l’ordine di cui parlava il sindaco, ma il rispetto per le idee e la diversità altrui.
Il bambino riuscì a convincere tutti e da quel giorno Norito si riempì di tanti colori che gli abitanti erano liberi di scegliere per i loro vestiti, anche a seconda del loro umore.
Pregarono Francesco di rimanere lì a vivere con loro e di diventare il sindaco dei ragazzi, ma egli voleva proseguire per conoscere altri luoghi.
Così l’indomani i due giunsero a Rosalo, una cittadina alquanto strana, poiché lì erano tutti ladri. Non esistevano ricchi e poveri perché ognuno viveva grazie a quello che l’altro guadagnava. Francesco ed il suo amico decisero di alloggiare nell’albergo più lussuoso della città grazie ai soldi donati dai cittadini di Norito, ma il giorno dopo si ritrovarono senza neanche una monetina in quanto di notte dalla loro stanza erano passati i ladri.
Per due giorni rimasero senza mangiare e imposero loro di rubare, ma Francesco era un bambino a cui era stata insegnata l’onestà e non riusciva proprio a farlo. Per tale motivo i due vennero arrestati e rinchiusi in una cella che era vuota ormai da molti anni.
Non sapendo come fare, iniziarono a piangere e da una tana sbucarono in fila tanti topolini che decisero di aiutare i poveri sventurati.
Così rosicchiarono per tutta la notte le sbarre arrugginite della squallida cella e all’alba i due scapparono via verso la stazione. Si intrufolarono in un vagone, nascondendosi tra le valigie dei passeggeri e affrontarono un lungo viaggio. Durante il tragitto Francesco conobbe un elegante signore con una lunga barba che leggeva un libro antico scritto in ebraico e a cui raccontò quanto gli fosse accaduto. Il bambino capì immediatamente che quell’uomo così distinto e saggio avrebbe potuto fornirgli tutte le risposte alle sue domande, così trascorse con lui nel treno tre giorni e tre notti a chiedere e a farsi raccontare.
Il signore dalla lunga barba bianca, gli insegnò talmente tanto e soprattutto Francesco capì l’importanza del prendersi cura delle cose e delle persone che si amano e che il tempo che aveva perduto in quegli anni aveva reso ancora più prezioso il legame con la sua terra e sua madre.
Il signore lo salutò regalandogli il suo libro con la promessa di aprirlo solo quando avrebbe messo piede al suo paese.
I due arrivarono. A causa dell’alluvione era ancora tutto distrutto. Francesco aprì il libro e vide ogni pagina trasformata in una banconota d’oro. Riabbracciò sua madre, con quei soldi fece ricostruire la città, le scuole dove chiamò i migliori maestri per insegnarci e gli ospedali dove riuscì a far curare la madre. Per evitare nuovi disastri ambientali, fondò un’associazione di giovani provenienti da ogni parte del mondo che scosse gli animi e le menti dei potenti della Terra che furono costretti a riunirsi per trovare delle soluzioni.
Francesco, ormai grande, si ritrovò una notte a guardare il firmamento, ricordando l’incontro con il signore nel treno e le parole che spesso suo padre ripeteva quando guardava il cielo nell’oscurità della sera: “Le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua”.